16 Mag URBANISTICA – Conformità urbanistica e compravendita immobiliare.
Spesso si associa la mancanza di conformità urbanistica all’assoluta impossibilità di commercializzare un immobile.
Ma l’abuso rappresenta sempre un ostacolo insormontabile, o la misura dello stesso ed altri casi particolari smentiscono questo assioma? Risposta complessa, e non univoca.
In estrema sintesi, la conformità urbanistica viene definita come la corrispondenza dello stato dei luoghi, comprese le singole porzioni dell’immobile, a tutti i titoli abilitativi di quest’ultimo, depositati presso gli uffici amministrativi preposti. E’ prevista una minima tolleranza sotto il profilo planovolumetrico, la cui disciplina si rinviene nel T.U. Edilizia (DPR 380-2001, art.34 co.2-ter, difformità contenute entro il 2% delle misure progettuali). Per “titoli abilitativi” si intendono gli atti, normalmente rilasciati dai comuni, che abilitano, permettono o comunque autorizzano la realizzazione delle opere edilizie.
Dalla Legge Urbanistica fondamentale n.1150-1942 sino agli ultimi interventi correttivi al TU Edilizia, essi hanno assunto denominazioni e contenuti più svariati, da quello concessorio (Licenza, Concessione, Permesso di costruire) o autorizzativo (Autorizzazioni), ad atti di natura sostanzialmente privatistica (DIA, SCIA, CILA), volti alla semplificazione procedimentale se corrispondenti ad una determinata fattispecie normativa. Allo stesso risultato giungono alcune “eccezioni alla regola”, leggasi Condoni e Sanatorie, che regolarizzano l’abuso previa applicazione e corresponsione di alcune sanzioni pecuniarie.
Attualmente, sia la L.47/85 (art.40 co.2) sia lo stesso TU Edilizia per gli immobili realizzati dopo il 17.3.1985 (art.46), prevedono la nullità per gli atti privati o pubblici inerenti il trasferimento, scioglimento comunione o la costituzione di diritti reali su edifici o parti di essi, se dagli atti non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria (conformità urbanistica). A tutto questo è stata affiancata, nel 2010, la cd. regolarità catastale (DL.78-2010 – L.122.2010).
Due prime eccezioni alla menzione di tali estremi sono previste dalla stessa normativa di settore appena richiamata, ovvero l’alternativa rappresentata da dichiarazioni sostitutive del venditore per le opere antecedenti il 01 settembre 1967, e l’esclusione per quelle cessioni che derivano da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali, con l’obbligo per l’aggiudicatario di attivare gli eventuali procedimenti di sanatoria entro 120gg dal decreto di trasferimento. Il concetto di “nullità” è stato poi vagliato più volte dalla giurisprudenza, con orientamenti ondivaghi che talvolta hanno valorizzato il tenore letterale delle disposizioni suindicate (nullità “formale”, da assenza delle dichiarazioni sugli estremi, passibile di successiva rimozione), talaltra gli impedimenti derivanti dalla concreta presenza di difformità urbanistico-edilizie sull’immobile compravenduto (nullità “sostanziale”, insanabile). Considerata la gravità delle conseguenze (invalidità dell’intero contratto) si registrano poi delle pronunce che mitigano l’effetto della nullità, escludendolo o limitandolo per le difformità lievi (Cass.civ. 8081/2014 e 24852/2015).
Volendo concludere, l’incertezza delle conseguenze dovute alla mancanza di conformità urbanistica appare davvero arginabile solo attraverso una preventiva ed adeguata analisi tecnico-giuridica dell’immobile da cedere o acquistare.
Avv.Gabriele Cerofolini
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