23 Set LAVORO – Morte del lavoratore e risarcimento da perdita del congiunto.
Una recente sentenza di legittimità (Cass.civ.20287/2019), nel confermare il risarcimento riconosciuto ai prossimi congiunti per un infortunio sul lavoro, ha ribadito alcuni concetti fondamentali in tema di danno non patrimoniale e relativo onere della prova.
Il danno morale o quello esistenziale per la perdita del congiunto non configura, infatti, un danno in re ipsa (ovvero in se stesso, che non necessita di prova) ma è la conseguenza negativa e pregiudizievole, in capo ai congiunti, dell’evento che ha causato il decesso della vittima (cd.danno conseguenza), la cui dimostrazione può certamente essere fondata su presunzioni.
Dal fatto noto costituito dal legame familiare (stretto vincolo affettivo, tipico di una famiglia nucleare) è desumibile il pregiudizio, ignoto, caratterizzato da intensità diverse e particolari, proprie dei legami di coniugio e filiazione. La prova contraria di siffatta unità ed intensità spetta alla controparte, dalla quale si pretende il risarcimento.
Ricorda la Suprema Corte come “il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta.”
Nel caso di un illecito plurioffensivo come la morte di un componente del nucleo familiare, “ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della cd. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare.”( cfr. ex multis Cass. 9231/2013; Cass. 14655/2017 ).
Avv.Gabriele Cerofolini Bandinelli
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