19 Ago LAVORO – Danno da perdita del lavoro domestico, sì alla presunzione.
La Suprema Corte (Cass.civ. sent.17129/2023) torna ad occuparsi della liquidazione del danno da riduzione della capacità di lavoro di una casalinga, e del riparto dell’onere probatorio sotteso alla dimostrazione del pregiudizio patito.
La controversia vedeva una compagnia assicurativa lamentarsi della mancata prova, da parte della danneggiata, dell’incidenza sul lavoro domestico di una inabilità conseguente ad un errato intervento chirurgico. Secondo l’assicurazione, il giudice d’appello aveva errato nel riconoscere il diritto al risarcimento, basandosi in via presuntiva sul solo accertamento dell’invalidità emerso dalla consulenza tecnica d’ufficio. Non era stata difatti accertata – perché la casalinga non lo aveva previamente dimostrato – la capacità di attendere o meno alle attività domestiche, considerando, fra l’altro, una pregressa menomazione dalla quale la stessa paziente era affetta prima dell’operazione mal eseguita.
Il motivo di gravame viene però ritenuto infondato. Secondo la Cassazione, la prova che la vittima attendesse alle attività domestiche può essere ricavata in via presuntiva dalla semplice circostanza che non avesse altro lavoro. Spetta invece a chi nega l’esistenza del pregiudizio dimostrare che la danneggiata, benché casalinga, non si occupasse delle mansioni domestiche o di una parte di essere, ricollegabili alle proprie esigenze personali. Nel caso di specie, la prova presuntiva del danno patrimoniale derivante dalla riduzione della capacità di lavoro domestico è stata desunta dal giudice di merito sulla base di un giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimità, dal tipo di patologia accertato, e dalla sua incidenza nello svolgimento delle mansioni di casalinga.
Avv.Gabriele Cerofolini Bandinelli
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